Foglio di Comunità – n° 6/2017

Bollettino informativo non periodico della Comunità cristiana di base Viottoli
Distribuzione gratuita — Pinerolo (To), 31/05/2017

LE EUCARESTIE

DOMENICA 11 giugno : Giornata con la Scala di Giacobbe

VENERDI’   23 giugno : ore 21 Eucarestia. Segue assemblea

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ASSEMBLEA DI COMUNITA’

Venerdì 23 giugno, al FAT, dopo l’Eucarestia delle ore 21.

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GRUPPO BIBLICO

Ogni lunedì sera ore 21 al FAT: stiamo continuando la lettura del libro “Oltre le religioni. Una nuova epoca per la spiritualità umana”, che ci sta coinvolgendo molto. Ricordiamo che su questo testo il Collegamento nazionale CdB ha scelto di organizzare il seminario nazionale di dicembre.

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GRUPPO RICERCA

Il prossimo incontro si svolgerà mercoledì 15 giugno, come sempre a casa di Paola ed Elio; stiamo terminando la lettura del libro “L’economia è cura” di Ina Praetorius. Poi programmeremo il “dopo”. Se qualcuno/a è interessato/a, questo è il momento di farvi avanti: il gruppo è aperto a chiunque lo desideri.

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GRUPPO DONNE

Ci incontreremo martedì 6 e 20 giugno, ore 21, a casa di Luciana. Stiamo continuando a leggere il libro “Le amiche di Dio. Scritti di mistica femminile” di Luisa Muraro.

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COLLEGAMENTO NAZIONALE DELLE CDB

La segreteria tecnica nazionale ha spedito l’invito a partecipare alla riunione del Collegamento nazionale delle CdB che si svolgerà presso l’hotel Meeting di Calderara di Reno (Bologna) sabato 3 e domenica 4 giugno 2017.

Ordine del giorno:
– Resoconto sull’incontro del collettivo europeo delle CdB tenutosi a Roma a fine aprile
– Situazione economica e contribuzioni annuali delle CdB
– Organizzazione del prossimo seminario nazionale CdB (Rimini, 8 – 10 dicembre 2017)
– Varie ed eventuali.

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PROPOSTA DALLA SCALA DI GIACOBBE

Cari amici e care amiche,

abbiamo ricevuto dal gruppo di gay credenti “La Fonte” di Milano (che nel mese di giugno organizza abitualmente una gita) la proposta di trascorrere insieme la giornata di domenica 11 giugno a Pinerolo. Siamo felici che abbiate accettato di partecipare. Il programma prevede:

– alle ore 11,00 in Vicolo Carceri 1 (FAT) celebrazione dell’eucarestia con le due Comunità cristiane di base di Pinerolo.

– Verso le ore 13,00 pranzo comunitario (ciascun/a partecipante è invitato/a a portare qualcosa da condividere con gli altri).

– Nel pomeriggio visita del centro storico di Pinerolo in compagnia di una guida che ci racconterà la storia della città.

La Scala di Giacobbe

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VIOTTOLI

E’ in preparazione il n. 1/2017. Vi invitiamo a mandare articoli, commenti biblici, segnalazioni, recensioni, ecc. per il prossimo numero.

Ricordiamo la quota associativa: 25,00 €; oppure potete versare un contributo libero utilizzando il ccp n. 39060108 intestato a: Associazione Viottoli – via Martiri del XXI, 86 – 10064 Pinerolo (TO) o con bonifico bancario: IBAN: IT 25 I 07601 01000 000039060108    BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX

Vi invitiamo inoltre a richiedere copie saggio gratuite del nostro semestrale (per informazioni: viottoli@gmail.com). Sono disponibili alcune raccolte complete con tutti i numeri della rivista dal 1992 a oggi.

Sul nostro sito www.cdbpinerolo.it cliccando su VIOTTOLI —> ARCHIVIO DEI NUMERI ARRETRATI trovate, e potete scaricare gratuitamente, tutti i numeri in formato *.pdf dal 1998 al 2016.

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UOMINI IN CAMMINO

Il gruppo UinC 1 si riunisce al FAT giovedì 8 e 22 giugno alle ore 18,45

Il gruppo UinC 2 si riunirà nella sede dell’ARCI mercoledì 7 e 21 giugno, alle ore 21.

Domenica 18 giugno andremo a Fenestrelle, a casa di Arci, per la tradizionale festa con le nostre famiglie. Saremo più numerosi/e del solito, ma sarà bellissimo, come sempre.

Com’è stato molto bello e stimolante l’incontro del 6 maggio con gli amici dei gruppi della Brianza e di Verona. Sul numero di Uomini in Cammino che sta per andare in stampa troverete il testo del “report” curato da Danilo di Monza. Ricordiamo agli uomini che leggono questo foglio che i due gruppi sono sempre aperti a chi sente il desiderio di conoscerci o di coinvolgersi. Basta una telefonata per un contatto preventivo con uno di noi.

Liberi dalla violenza – L’associazione è costituita e lo Statuto è stato depositato. Ci stiamo preparando per l’apertura a Pinerolo di un servizio di presa in cura di uomini che commettono violenze nelle relazioni con le donne: nei prossimi mesi lo faremo conoscere con iniziative e serate nei paesi del nostro territorio.

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RIFLESSIONI IN MARGINE ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO “L’INUTILE FARDELLO” di Ortensio da Spinetoli (Chiarelettere ed. 2017) da parte di Franco Barbero avvenuta a Pinerolo il 9 maggio 2017

E’ stato un incontro per me decisamente stimolante, anche perchè avevo già letto il libro; questo testamento spirituale di Ortensio non lascia indifferenti: il suo approccio a Gesù è un invito all’amore che tocca chiunque, come accadeva a chi lo incontrava fisicamente sui sentieri della Palestina.

Ortensio lo presenta accompagnandolo con una lettura critica delle deviazioni, cominciate pochi anni dopo la sua morte, ad opera di chi si è dedicato a costruire una propria dottrina invece di “limitarsi” a vivere con coerenza l’amore e la condivisione, secondo l’insegnamento e l’esempio del rabbi di Nazareth. Ortensio applica a queste deviazioni l’accusa di “eresia” nei confronti del cristianesimo.

Ho molto apprezzato e condiviso quando Franco Barbero – come Ortensio – ha sostenuto la necessità di “tornare a Gesù”; ma sono rimasto molto perplesso quando ha sviluppato la sua lettura di questa “eresia” ironizzando molto su dottrine e riti della chiesa cattolica e non solo, suscitando risate complici tra il pubblico.

Sulla scorta di una ricerca che dura da decenni in comunità, la riflessione ha preso immediatamente forma nella mia mente: di quella dottrina fa parte anche il sacerdozio, l’ordine sacerdotale, la casta. Se il cristianesimo è un’eresia – come sostiene Ortensio -, se davvero vogliamo tornare a Gesù, allora il discorso si fa più serio.

Gesù non era prete, l’etichetta di “sacerdote” gliel’ha confezionata su misura Paolo di Tarso (o chi per lui) per accreditarlo presso gli Ebrei nella lettera omonima… Già questo era una deviazione dall’insegnamento e dalle pratiche di vita di Gesù. Aggravata poi dall’averla dichiarata “parola di Dio”.

Possiamo anche ironizzare… e chi non lo fa? Ma se chi ironizza su tutto ciò è un prete… la riflessione continua. La gente ride quando un prete ironizza sulle dottrine che la gerarchia ha inventato e imposto nei secoli e che i suoi confratelli contribuiscono a perpetuare.

La gente ride perché dentro di sé non apprezza quella dottrina e quell’ironia è liberatoria: si sente autorizzata a prenderne pubblicamente le distanze da un rappresentante autorevole della stessa casta che quella dottrina ha concepito e imposto per secoli.

E noi? Riconosciamo forse che solo lui/loro sono titolati a indicarci le parti della dottrina di cui ci autorizzano a ridere? Oppure la nostra risata liberatoria può tranquillamente “seppellire” tutta la casta che vive di quella dottrina che ha inventato per esistere? E andare oltre?

Condivido che “andare oltre” significa – parlando di cristianesimo e di religione cattolica – “tornare a Gesù”, per imparare la coerenza di vita con il suo insegnamento, andando oltre le sovrastrutture dottrinarie e dogmatiche inventate dai preti.

Ebbene: se è vero, com’è vero, che Gesù non era prete… chi ci parla di Gesù senza farne una dottrina? Le donne, soprattutto, che non appartengono ad alcuna gerarchia ecclesiastica.

E’ certamente bello e conveniente che ci sia chi si specializza nell’esegesi storico-critica, archeologico-filologica, e quant’altro, della Bibbia e della cultura in cui è stata elaborata e scritta, così come c’è chi si specializza in fisica quantistica, in filosofie orientali o in lingue dell’Africa subsahariana…

Ma per riscoprire Gesù, per imparare a stare con amore e cura nelle relazioni, per “animare” comunità nell’amore e nella condivisione, non c’è bisogno di sapere l’aramaico, l’ebraico, il greco e il latino. Non è quella la specializzazione necessaria a chi vuole animare comunità che cercano di camminare sui sentieri inaugurati da Gesù.

Anche lui, a pensarci bene, camminava sui sentieri delle culture matriarcali, inaugurati dalle donne che da millenni vivevano in cerchio con le loro comunità, senza castelli gerarchici che oggi ci troviamo a voler abbattere, riconosciute e seguite per la loro autorevole saggezza.

Cito un libro solo tra i tanti che ci narrano questa storia: “Le tredici Madri Clan delle origini” (ed Venexia 2015), in cui Jamie Sams mette per iscritto la tradizione orale, trasmessale dalla nonna, del popolo Cherokee dei Nativi del Nord America. Quelle pagine trasudano Vangelo, eppure quei popoli non conoscevano Gesù né il Dio della tradizione ebraico-cristiana.

Per praticare e insegnare l’amore non è necessario andare in seminario; anzi! Il seminario insegna a dominare sulle coscienze, a pretendere la delega e la sottomissione a chi con la dottrina esercita il potere.

Franco Barbero ha sostenuto – come sostengono tutti i “nostri” preti – che bisogna liberare la gerarchia ecclesiastica dal senso del “sacro” che ne fa una “casta”, e ha introdotto il tema dei ministeri: bisogna “convertire i ministeri”, ha detto, per trasformarli in veri “servizi”. Questa è una ricerca che da anni impegna le nostre comunità. Mi chiedo: sarebbe possibile avere preti senza sacro e senza casta? Credo di no: non sarebbero più “preti”, ma animatori di comunità.

Il problema è che, se non si convertono le persone che dovrebbero esercitare questi servizi, credo che i ministeri continueranno ad essere luoghi e strumenti di potere.

Conversione delle persone significa, secondo me, soprattutto che ciascuno, a partire da sé, abbandoni ogni tentazione gerarchica, ogni appartenenza a una casta del sacro, e si disponga a “vivere in cerchio”, esercitando i propri carismi per il bene comune, con la convinzione che la comunità ha bisogno di amore, non di conoscenza delle radici aramaiche dell’ebraico biblico.

Quello di cui continuo ad essere convinto, da quell’ormai lontano 2004, quando celebrammo i 30 anni della nostra CdB, è che vivere da animatori/e di comunità non è missione “da preti”, ma è possibile a ogni uomo e a ogni donna che lo scelga con coerenza e vi sia riconosciuto/a dalla comunità, non necessariamente come ruolo individuale, pur se esercitato a rotazione.

Ogni comunità, poi, organizzerà corsi o serate di approfondimento intorno alla Bibbia, al Corano e a ogni altro testo “sacro” per qualche porzione di umanità, invitando esperti ed esperte che conosce e che stima per la profondità dei loro studi…

Beppe Pavan

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LA STORIA RACCONTATA DA LEI

Anche se è passato un po’ di tempo, anzi forse proprio perché è passato il tempo necessario per rifletterci su e osservare le diverse reazioni dentro e fuori le comunità di base, sento l’urgenza di riprendere il discorso iniziato dalla Comunità dell’Isolotto sul nostro sito, in occasione della riflessione di Beppe Pavan sul libro “Le donne e il Prete” di Mira Furlani.

Il nodo, che vorrei riprendere e tentar di dipanare, si trova in queste righe del loro Primo Piano dell’11 Dicembre 2016: “A questo proposito vogliamo sottolineare  come i ricordi di un passato, per altro in questo caso così lontano, siano sempre fortemente connotati a livello soggettivo e dall’emozione personale, che è quella che tiene in vita il ricordo, per cui gli stessi eventi che Mira ha vissuto nel modo riportato nel libro, da altre/i di noi sono ricordati in modo diverso, con altri particolari, altre situazioni, altre emozioni. Riteniamo sia importante tener conto di questo e considerare lo scritto di Mira relativo non solo al contesto di quel momento storico, ma anche alla personalità di Mira: una delle tante voci possibili, appunto, come recita il sottotitolo, raccontato da lei.

Sta proprio qui il punto cruciale, nel liquidare la memoria soggettiva come qualcosa di non oggettivo, di relativo, non valido per tutti. Ma su questo la politica delle donne ha da dire qualcosa di molto importante. Si tratta della pratica politica del partire da sé, dalla propria esperienza soggettiva, proprio per parlare delle cose da loro ritenute storicamente importanti, di valore politico/simbolico per entrambi i sessi. La pratica del partire da sé consiste nel trovare le parole per dire il reale, tornando ai vissuti, ai desideri, ai sentimenti e alle contraddizioni in cui ci dibattiamo. Questa pratica, adottata dal femminismo degli anni 70 nei gruppi di autocoscienza, ha eliminato la separazione tra pubblico e privato, tra personale e politico.

Da tale presa di coscienza molto è cambiato nella società e non soltanto sul piano della legge e dei diritti. E’ cambiato l’ordine simbolico maschile che all’epoca dell’esperienza di Mira imperava, soprattutto nella chiesa. Perché le società, in ogni epoca, sono mosse da precisi ordini simbolici e il vero cambiamento, avvenuto in quegli anni, è stato lo sgretolarsi del patriarcato come ordine simbolico. E proprio dietro il concetto di “famiglia” venivano scaricati su noi donne i ruoli dove si nascondevano, nel privato, tutte le esperienze umane fondamentali, come la sessualità e la maternità, considerate cose “non politiche”.

Solo il superamento della dicotomia pubblico/privato ci ha permesso di riconoscere la politicità della vita personale. Tutto questo non sarebbe stato possibile se non fossimo partite dal dare valore alla verità soggettiva femminile, dentro le relazioni familiari, coniugali, come in quelle sociali e comunitarie, soprattutto nel campo della sessualità, della salute del nostro corpo, dalla gravidanza al problema dell’aborto, tutte cose allora considerate molto private.

Ci fu immediatamente, soprattutto da parte maschile, una grande disapprovazione sociale per questa irriverente sfacciataggine femminile. Ma oggi io e Carla, autrici della prefazione al testo di Mira Furlani, come Mira stessa e tantissime altre donne, possiamo esprimere un sapere e una coscienza di noi che ha le sue radici in una grande e storica comunità femminile che attraverso pratiche di pensiero innovative e pratiche di relazioni efficaci, ha trasformato l’intera società.

Oggi sono proprio le donne che si sentono parte attiva di questa storica evoluzione, donne che rispondono positivamente, cogliendo appieno il senso di rivolta che il testo di Mira ha voluto trasmettere contro il silenzio e la cancellazione dalla storia dell’esperienza femminile.

Giuseppina Vitale, nel suo articolo su Micromega di Gennaio 2017, mette in risalto il rapporto conflittuale e critico con l’autorità religiosa, ancora non libera dai suoi condizionamenti clericali. Mariangela Mianiti, sul Manifesto del 26 Aprile del 2017, nella sua interessante recensione, entra nel merito del dibattito tenutosi il 4 marzo scorso alla Libreria delle donne di Milano, in cui Luisa Muraro ha parlato di “una rivolta nella rivolta” poiché, anche in una stagione rivoluzionaria, è possibile “scartare” percorsi femminili di libertà, perché inediti e dirompenti. Inoltre non mancheranno, prossimamente, altri preziosi contributi attualmente in cantiere.

Al nostro ultimo convegno “Gruppi donne Cdb”, tenutosi a Verona nel novembre 2016, la filosofa Chiara Zamboni ha detto: “Siamo noi con la nostra scommessa simbolica a mostrare come il significato di avvenimenti, apparentemente secondari o visionari, che ci hanno toccato hanno un valore che occorre condividere con altri, sia donne che uomini. Si tratta di avere fedeltà nei segni che ci coinvolgono ma, in più, avere fiducia che con le nostre parole rendiamo condivisibile il significato di ciò che ci ha messo in movimento, perché lì c’è una verità implicita. Non importa se a prima vista questo ad altri possa sembrare di poca importanza o se il simbolico dominante non lo veda del tutto o lo consideri marginale o lo interpreti in una maniera per noi stridente, non adeguata. Assumere autorità è sentire l’importanza di questo lavoro simbolico”.

“Le storie sono storia: raccontiamole”: questo era il titolo di una rubrica di “Via Dogana”, storica rivista femminista della Libreria della donne di Milano. In effetti la storia raccontata da LEI assume un diverso spessore. Quando le donne sono libere e consapevoli della propria differenza tirano in ballo ciò che è sempre stato fuori dalla narrazione maschile, ristabilendo una verità dei fatti e riconsegnando alla storia i vissuti femminili. La loro presenza inedita mette in scena qualcosa di completamente nuovo. Ma il loro operato spesso è anche un attacco frontale al simbolico patriarcale e l’immagine maschile ne risente, uscendone un po’ ammaccata, diseroizzata. E’ un lavoro che aggiunge qualcosa che non c’è e toglie qualcosa di illusorio. Queste narrazioni non hanno lo scopo né la necessità di infangare figure maschili autorevoli che oggi non sarebbero in grado di controbattere: mettono invece in evidenza la necessità, ancora molto attuale, di una seria autocoscienza maschile.

Narrando la propria storia, le donne restituiscono un contesto storico arricchito da una differenza sessuale rimossa. Serve alle donne che possono rispecchiarsi in una narrazione che le comprende, dando giusto valore alla parzialità maschile, cosa necessaria in una società di pari-differenti. Si tratta di un percorso dinamico e trasformativo che richiede la disponibilità ad attraversare i conflitti in maniera non distruttiva, rimettendosi continuamente in discussione. 

Doranna Lupi

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DONALD E MELANIA

Tutti i presidenti USA che ho conosciuto sono stati e sono guerrafondai – anche quello premurosamente insignito del Nobel – e tutti hanno una moglie destinata a visitare ospedali di bambini e farsi fotografare con i “piccoli pazienti”. Per mostrare al mondo il volto compassionevole di un’amministrazione che, intanto, procura folle di piccoli pazienti agli ospedali e torme di piccoli cadaveri ai cimiteri e alle fosse comuni di tutto il mondo.

E’ talmente abusato, ormai, questo cliché che non commuove più di tanto. Questo potrebbe essere un buon segnale, ma dovrebbe essere accompagnato da un’incazzatura planetaria per questa ipocrisia e per ciò che la genera: la cultura coloniale e imperialista, che uccide in proprio e per procura, armando e sostenendo i cosiddetti “gruppi terroristi” che non esitano a fare stragi nei locali del divertimento giovanile.

“Sepolcri imbiancati” li chiamerebbe Gesù. E noi? Noi siamo loro fedeli alleati: non solo i nostri governi, ma tutti e tutte noi che non sappiamo “pretendere”, da chi eleggiamo a governarci, una politica di pace, vera, coerente, fatta di solidarietà e cooperazione universali.

Ne parleranno, qualche sera, a letto, Melania e Donald? A lei verrà mai qualche dubbio sul suo ruolo di “foglia di fico” a coprire le “vergogne” perpetrate dal consorte presidente? Chissà se qualcuno o qualcuna le offrirà mai una copia del libro di Tim Anderson che adesso vi presento…

Tim Anderson, LA SPORCA GUERRA CONTRO LA SIRIA. Washington, regime e resistenza, ed. Zambon, 2017

Questo libro non racconta solo la genesi e gli sviluppi della guerra che sta martoriando la Siria. E’ anche un “manuale” di lettura delle crisi che da alcuni decenni stanno sconvolgendo il Medio Oriente e i Paesi “arabi” che si affacciano sul Mediterraneo. Ci offre un paradigma per capire, invitandoci a usarlo con indipendenza critica di pensiero.

Il capitolo che riassume e rilancia le questioni fondamentali che l’autore sviluppa nelle precedenti 250 pagine è il capitolo 13, in cui sintetizza le forme dell’intervento occidentale e ne individua le motivazioni nella persistente “mentalità coloniale”.

La prima forma è la “colonizzazione del linguaggio”, con la quale “l’Occidente reinventa attivamente la propria storia allo scopo di perpetuare la mentalità coloniale” (p. 251). A questo scopo le “culture imperiali hanno inventato un’ampia varietà di pretesti dal suono accattivante” per giustificare i loro interventi militari, diretti o per procura, nelle ex-colonie e nei Paesi di recente indipendenza. Questi pretesti abbiamo imparato a conoscerli: si chiamano, di volta in volta, “protezione dei diritti delle donne” (v. Afghanistan) oppure “instaurazione di una buona governance” (v. Iraq, Libia, Siria…) o “sostegno alle rivoluzioni” (v. Egitto, Siria…) o ancora, più italicamente, missioni umanitarie, missioni di pace, missioni di polizia internazionale (v. D’Alema e successori). Non dimenticheremo mai la plateale menzogna dell’amministrazione Bush sulle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein.

In realtà ce ne ricordiamo quando qualcuno ce lo rammenta, ma subito pensiamo ad altro… mentre, invece, l’Occidente, governi USA in testa, continua a usare quel modello, che ancora funziona. Anche perché viene sostenuto dalla propaganda capillare degli smemoratissimi “media embedded”, dove embedded sta per “incorporato, cooptato”, praticamente “a libro paga”: i mezzi di comunicazione più letti e seguiti sono in mano ai miliardari sostenitori dei candidati alla presidenza USA o ai loro alleati tra i Paesi del Golfo.

Tutto questo è diffusamente documentato da Anderson. Se non ci fossero altre ragioni per scegliere di andare “oltre le religioni”, di abbandonare tutte le religioni nelle loro forme istituzionalizzate, a noi sembra che basterebbe questa: per annullare la “grande scusa”, la coperta sotto la quale si commettono le più atroci ingiustizie nelle relazioni tra persone, tra governanti e governati/e, tra uomini e donne, tra nazioni, tra gruppi di potere in competizione per il dominio. Le religioni che hanno giustificato e ancora giustificano omicidi, stragi e guerre sono state e sono armi di distruzione di massa. L’Occidente “cristiano” faccia autocoscienza, per primo a partire da sé, e l’ONU diventi il luogo supremo di questa autocoscienza planetaria.

Beppe Pavan

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A CORPO LIBERO – PIEMONTE PRIDE 2017
11 anni d’impegno e traguardi

A corpo libero, come una danza, un esercizio o una nuotata. Il visual e il claim del Piemonte PRIDE 2017 creano una specie di cortocircuito. La liberazione del corpo e la liberazione delle menti hanno non solo il fattore comune di un atto di liberazione, ma sono strettamente legate in un sistema dì conseguenze: da una possiamo passare nell’altra, una la conseguenza dell’altra, sia che si proceda in un senso, sia nell’altro.

Liberare i nostri corpi SIGNIFICA, nei fatti, liberare la mente da costrizioni, pregiudizi e mancate autonomie. Significa in buona sostanza affermare noi stessi come persone, come insieme di relazioni complesse ma in grado di rivendicare autodeterminazione.

Liberare i corpi, tutti i corpi, significa sottrarli alla logica commerciale indotta da altri, significa partire dalla mente libera per sciogliere le catene che anche la comunità LGBTQI spesso costruisce attorno ai corpi: il superamento dello stereotipo del corpo atletico, giovane e prestante che, nei fatti, rende marginale o invisibile chi non corrisponda a questi criteri.

Il corpo e la mente, nelle nostre battaglie, devono riacquistare la propria REALTA’; liberare la mente perché si liberi essa stessa dagli elementi di esclusione al nostro interno che si sovrappongono ai forti elementi di discriminazione che la società ancora tollera o, addirittura, esaspera.

Se sappiamo liberare, alzare la mente, cambiare dall’alto le prospettive e guardare oltre i muri che sempre più spesso si alzano nel mondo, sapremo anche includere il corpo disabile che altrimenti non risponde ai criteri utilitaristici dominanti, includere il corpo intersex e quello transessuale che non sono corpi difettosi, da correggere.

Esistono corpi da liberare, come le nostre menti. E un atto politico rivendicare il diritto di esistere e di mostrarsi esattamente come si è. Liberare la mente è un atto politico, liberare i corpi è un atto politico. Questo è l’inizio antico di una piccola rivoluzione.

Il Piemonte Pride quest’anno si svolgerà SABATO 17 GIUGNO A TORINO E SABATO 8 LUGLIO A ALBA (CN), quest’ultimo appuntamento organizzato insieme al Collettivo De-Generi di Alba che da tempo segue le tematiche LGBT in quel territorio.

Il Pride è un importante momento di celebrazione, di gioia e inclusione rivolto a tutta la cittadinanza che di consuetudine si svolge in concomitanza con la Giornata mondiale dell’orgoglio LGBT ed è l’unica manifestazione laica, di salvaguardia dei diritti in grado di attrarre un così cospicuo numero di persone: l’anno passato si è stimata una partecipazione di oltre 100.000 persone.

Il Torino Pride, che nel 2016 ha compiuto dieci anni, si propone alla città e all’intero territorio regionale e nazionale come un evento in grado di aggregare davvero tutti e tutte all’insegna della massima visibilità.

I Pride sono organizzati dal Coordinamento Torino Pride che è costituito dalle associazioni lesbiche, gay, bisessuali e transgender operanti sul territorio della Regione Piemonte, insieme a realtà non LGBT impegnate nel sostegno dei valori della laicità, del rispetto delle differenze. Il Coordinamento progetta e organizza iniziative politiche, sociali e culturali sul tema dei diritti delle persone LGBTQ, a difesa della loro identità e dignità e per il superamento di ogni forma di pregiudizio e discriminazione legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

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LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DA UNA PERSONA CHE STA DIGIUNANDO

Egregio Presidente della Repubblica,

chi le scrive queste righe in questi giorni sta digiunando per il riconoscimento del diritto di voto a tutte le persone che in Italia stabilmente vivono. (…)

Ho sovente apprezzato le sue parole di riconoscimento della dignità e in difesa dei diritti umani dei migranti, e con questa lettera vorrei sollecitare la sua attenzione sul fatto che (…) “vivono stabilmente in Italia oltre cinque milioni di persone non native, che qui risiedono, qui lavorano, qui pagano le tasse, qui mandano a scuola i loro figli che crescono nella lingua e nella cultura del nostro paese; queste persone rispettano le nostre leggi, contribuiscono intensamente alla nostra economia, contribuiscono in misura determinante a sostenere il nostro sistema pensionistico, contribuiscono in modo decisivo ad impedire il declino demografico del nostro paese; sono insomma milioni di nostri effettivi conterranei che arrecano all’Italia ingenti benefici, ma che tuttora sono privi del diritto di contribuire alle decisioni pubbliche che anche le loro vite riguardano”.

E pertanto (…) poiché il fondamento della democrazia è il principio “una persona, un voto”, “l’Italia essendo una repubblica democratica non può continuare a negare il primo diritto democratico a milioni di persone che vivono stabilmente qui”. Credo che una sua parola su questo tema sarebbe di grande importanza, e potrebbe non solo aprire gli occhi a tante persone native che hanno una visione astratta e stereotipata dei nostri vicini di casa e colleghi di lavoro qui giunti da altri paesi ed ormai effettualmente pienamente parte della nostra comunità, e li riveli loro per quello che concretamente sono nella loro generalità: persone oneste e generose che sovente svolgono con grande dedizione i lavori più faticosi e si prendono cura con grande sollecitudine dei nostri parenti più fragili e bisognosi di assistenza, persone che fanno del bene al nostro paese, persone purtroppo non di rado vittime di pregiudizi e vessazioni abominevoli.

Egregio Presidente della Repubblica,

non c’è bisogno che ricordi a lei, che ne ha piena contezza come si evince da tante sue dichiarazioni, il bene che il riconoscimento del diritto di voto a tutte le persone che in Italia stabilmente vivono farebbe all’Italia e a tutti gli italiani: cesserebbe lo scandalo di un diritto democratico negato; si attiverebbe una grande risorsa democratica già presente ma fin qui ancora non valorizzata (chiunque comprende che nello spazio politico ed istituzionale la presenza, le esperienze, la sensibilità, il sapere e il discernimento di questi nostri conterranei porterebbero benefici grandi); sarebbe di grande efficacia nel contrastare il razzismo, lo sfruttamento illegale e le vessazioni che attualmente tante persone subiscono; inoltre con tutta evidenza migliorerebbe moralmente e culturalmente anche i nativi; ed infine costituirebbe un luminoso esempio di civiltà, e un invito all’umanità intera a riconoscersi come un’unica famiglia in un unico mondo vivente casa comune di tutti.

Né occorre aggiungere che la ripugnante deriva razzista della propaganda e dell’azione di talune forze politiche, essendo palesemente motivata dal solo intento di acquisire consenso elettorale (giacché nessuna persona dotata del ben dell’intelletto può dichiararsi razzista ovvero propugnare politiche razziste senza provarne profonda vergogna e sentirsi intimamente ridicola e grottesca, né c’è bisogno di ricordare che il razzismo è un crimine contro l’umanità), sarebbe dai suoi stessi promotori e seguaci se non rovesciata almeno dismessa una volta che nella platea degli elettori vi fossero anche milioni di persone che oggi sono invece mero bersaglio indifeso di quelle violenze verbali e non solo verbali. (…)

Egregio Presidente della Repubblica,

su sua sollecitazione il Parlamento ha deciso di accelerare i lavori per la definizione della nuova legge elettorale; è ovvio che questa accelerazione non deve andare a detrimento di una discussione che è necessario sia ampia e adeguatamente approfondita. A me sembra che in questa discussione debba essere posto anche il tema del riconoscimento del diritto di voto a tutti i residenti. Una sua pubblica riflessione su questo argomento – nel pieno rispetto delle competenze di ogni articolazione dell’ordinamento istituzionale – potrebbe essere assai giovevole non solo alla crescita della consapevolezza dell’intero popolo italiano in generale, ma anche specificamente ai legislatori impegnati nell’elaborazione della legge elettorale.

Vorrei quindi pregarla di considerare questo invito.

Peppe Sini