23^ Domenica del T.O.

In attesa che qualcuno ci tocchi

Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!» (Marco 7, 31-37).

Per noi, uomini e donne di oggi, un fatto prodigioso come quello che ci viene raccontato in questo brano di Marco è quantomeno difficile da comprendere; immersi come siamo in una società che cerca sempre di dare una spiegazione il più possibile «scientifica» dei fenomeni che ci circondano, non ci accontentiamo più del silenzio di fronte all’inspiegabile, al mistero (dal greco mystérion, da myo, serrare le labbra) inteso come l’insufficienza del linguaggio umano di dare una spiegazione della totalità dei fatti. Non si tratta di credere ai «miracoli» (madonne in lacrime, frati sanguinanti, suore allucinate, ecc) ma piuttosto di lasciarsi stupire, di meravigliarsi ancora di fronte alle cose e agli avvenimenti della vita (miraculum deriva da mirari, meravigliarsi); occorre tornare a scoprire l’autenticità delle cose cercando di riappropriarci della nostra fisicità. Il vangelo, infatti, ci narra di un fatto fisico, talmente fisico che finisce per avere una forte valenza sociale, tanto da essere riconosciuto da tutti.

Le azioni e le parole di Gesù di fronte al sordomuto sono espressione estrema di fisicità: gli tocca le orecchie con le dita, la lingua con la saliva, sospira, parla. E tutto questo avviene «in disparte, lontano dalla folla». Per la cultura del tempo, la sordità e l’afasia erano considerati un castigo; il segno di una colpa commessa, la concretizzazione fisica di un peccato commesso, dall’interessato o dai genitori. Eppure Gesù non teme la contaminazione e, come sempre, tocca; restituendo non solo la parola e l’udito al sordomuto, ma reintegrando nella vita sociale e religiosa un individuo sino ad allora considerato un emarginato. Continua a leggere