Solo Dio ne è capace?
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Luca 15, 11-32).
Abbiamo già fatto un passo in questa direzione… da quando abbiamo cominciato a pensare al “paradiso terrestre” non più come il punto di partenza dell’umanità e della creazione, ma come il grande sogno, il desiderio, l’utopia, il non-luogo dell’esperienza immaginato come approdo possibile, come il punto di arrivo del nostro insopprimibile desiderio di felicità, di armonia nelle relazioni, di ben-essere… che è tale solo se è per tutti, tutte e tutto.
Anche Dio, per me, può essere “letto” così: come l’essere umano perfetto, quello che ogni uomo e ogni donna vorrebbe incontrare, quello che pensiamo sarebbe bello diventare, la nostra utopia personale e collettiva, della specie umana. E’ l’invito permanente a “essere perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. “Nei cieli” della nostra immaginazione, dei nostri desideri più profondi e spesso inconfessati… dove collochiamo la sua “alterità” per giustificare la nostra pigra “alteriqua”.
Proviamo per un momento a pensare a questo Padre come a quello che ognuno di noi vorrebbe essere: padre e madre sempre affettuoso/a, accogliente, capace di tutto l’amore di cui ciascuno e ciascuna di noi, figlie e figli, abbiamo desiderio struggente e bisogno acutissimo. Continua a leggere