In
un certo senso potremmo dire che la Bibbia non parla di sessualità,
anche se vi appaiono ambiti e problemi che noi moderni comprendiamo
come “sessualità”. Troveremo dei frammenti, dei racconti, dei
comportamenti che andranno collocati nel loro contesto e compresi a
partire dalle loro premesse. Bisogna avere coscienza del fatto che il
nostro modo di porre i problemi è diverso da quello della Bibbia. Ciò
non vuol dire che la Bibbia non abbia qualcosa da dire, ma che questo
qualcosa non si percepisce nell’immediatezza di un accostamento
diretto, ma nella dialettica tra quello che i testi volevano dire nel
loro contesto e a partire dai loro presupposti e i nostri interrogativi
di oggi.
Il rapporto tra Bibbia e sessualità è tornato
d’attualità nella maggior parte delle chiese protestanti sollecitate da
questioni ampiamente dibattute anche in ambito civile come per esempio
l’omosessualità e il riconoscimento delle “coppie di fatto”.
Dovendo
riflettere in quanto chiese cristiane, il riferimento biblico è
centrale. Centrale ma non facile, per varie ragioni. Daniele Garrone,
docente di Antico Testamento della Facoltà Teologica Valdese di Roma
affrobta questi temi ricordandoci che "bisogna avere coscienza del
fatto che il nostro modo di porre i problemi è diverso da quello della
Bibbia. Ciò non vuol dire che la Bibbia non abbia qualcosa da dire, ma
che questo qualcosa non si percepisce nell’immediatezza di un
accostamento diretto, ma nella dialettica tra quello che i testi
volevano dire nel loro contesto e a partire dai loro presupposti e i
nostri interrogativi di oggi".
Bibbia e sessualitàNell’affrontare
i testi biblici che hanno a che fare con la sessualità occorre essere
particolarmente cauti ed evitare di ridurre la Bibbia a una sorta di
prontuario di regole che si potrebbero applicare immediatamente, alla
lettera, nella nostra situazione. Bisogna cioè assumere senza reticenze
– come è richiesto da ogni buona ermeneutica – la distanza, cronologica
e culturale, che ci separa dai testi.
Bisogna avere coscienza
del fatto che il nostro modo di porre i problemi è diverso da quello
della Bibbia. Ciò non vuol dire che la Bibbia non abbia qualcosa da
dire, ma che questo qualcosa non si percepisce nell’immediatezza di un
accostamento diretto, ma nella dialettica tra quello che i testi
volevano dire nel loro contesto e a partire dai loro presupposti e i
nostri interrogativi di oggi.
Una lettura attentaIn
un certo senso potremmo dire che la Bibbia non parla di sessualità,
anche se vi appaiono ambiti e problemi che noi moderni comprendiamo
come “sessualità”. È una categoria moderna quella della sessualità come
dimensione dell’umano e chiunque tra noi, qualunque sia il suo
orientamento etico, politico, religioso si avvicina alla sessualità
presupponendo, ad esempio, le acquisizioni della psicologia del
profondo.
Leggendo i testi biblici dobbiamo dunque tenere
presente che non vi ritroveremo le categorie in cui noi siamo abituati
a parlare di sessualità né, tanto meno, un discorso complessivo e
unitario sulla “sessualità”. Troveremo dei frammenti, dei racconti, dei
comportamenti che andranno collocati nel loro contesto e compresi a
partire dalle loro premesse.
Leggendo i testi della Bibbia
ebraica [l’Antico Testamento cristiano, n.d.r.] che hanno a che fare
con la sessualità, dobbiamo ricordare che, a differenza di quanto
avviene nell’Antico Vicino Oriente, Dio non ha sesso. È, per così dire,
al di là dei sessi e della sessualità, che resta una dimensione tutta e
soltanto umana.
Questa visione “profana” o, per meglio dire,
creaturale della sessualità, di cui è emblema il fatto che nel Cantico
dei Cantici non si parla di Dio, è uno dei punti di forza del discorso
biblico in positivo sulla sessualità. Cioè la sessualità è uno dei
buoni doni della creazione di Dio, nulla di più e nulla di meno.
Vorrei
soffermarmi su alcuni testi biblici per mostrare con quale cautela essi
debbano essere accostati alle nostre visioni e problematiche attuali.
Genesi e Cantico dei CanticiIn
Genesi 2,23 – dopo che Adamo ha salutato la donna che Dio ha appena
creato – leggiamo queste parole: “Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua
madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne”. Vi è chi
sostiene che queste parole sono pronunciate da Dio e che esse
rappresentano l’istituzione del matrimonio (monogamico?
Ma i
patriarchi erano poligami e nella Genesi ciò non sembra costituire un
particolare problema) come ordinamento divino nella creazione, dunque
normativo per tutti gli esseri umani.
Potrebbe anche trattarsi di
una parola di Adamo o – ed è questa la soluzione oggi sostenuta dalla
maggior parte degli esegeti – di una osservazione del narratore, di una
sorta di commento al fatto che la donna “è stata tratta dall’uomo” e
che essa deve essere “l’aiuto che gli sta di fronte”, dove aiuto non va
preso come termine servile (nella Bibbia è soprattutto Dio a essere
“aiuto” per l’uomo).
Va poi notato che il movimento descritto
(un uomo lascia la famiglia di provenienza per unirsi alla sua donna) è
opposto a quello in vigore nel matrimonio in ambito patriarcale, dove
era la donna a lasciare la sua famiglia e a trasferirsi nella famiglia
del marito.
Quindi, è probabile che Genesi 2,23 non intenda
normare un istituto, ma descrivere un dato antropologico: ecco perché
il giovane uomo, ad un certo punto, sente un’attrazione più forte del
legame vitale che ha avuto fino a quel momento con i genitori, e questa
attrazione lo spinge ad unirsi (e in questo verbo è senza dubbio
implicita la dimensione sessuale) con la donna.
Questa
attrazione fa parte della creazione di Dio: come diceva Lutero
“appetitum ad mulierem est bonum donum Dei” (il desiderio della donna è
un buon dono di Dio”). Se questa interpretazione è corretta, si tratta
di un discorso a monte della problematica etico-giuridica del
matrimonio. Genesi 2,23 afferma la sessualità – e non una sua forma
specifica – come facente parte della creazione di Dio.
Molto
interessante è l’accostamento di due passi in cui compare il termine
“desiderio”: Genesi 3,16 (Alla donna disse: ”Io moltiplicherò
grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore
partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso il tuo uomo ed
egli dominerà su di te”) e Cantico dei Cantici 7,11 (“Io sono del mio
amico, verso me va il suo desiderio”).
Nel primo passo esso
appare in un contesto negativo, nel quadro delle conseguenze del fatto
che la prima coppia di umani ha violato il “limite fondante” costituito
dall’albero “della conoscenza del bene e del male”. In conseguenza di
questa rottura, tutta la creazione di Dio viene per così dire
sfigurata, per cui tutto ciò che in Genesi 2 era armonico e radioso
viene segnato da ombre. Questo non riguarda soltanto e in primo luogo
il rapporto tra uomo e donna.
Il lavoro umano (custodire e
coltivare il giardino, dare il nome agli animali), che in Genesi 2 era
l’attività di una umanità posta al vertice della creazione come
“luogotenente” di Dio, diventa l’improba fatica del contadino in una
terra avara di frutto. Tra gli animali e l’umanità c’era intimità, ora
invece compare una inimicizia rappresentata dall’ostilità che sempre si
verifica tra i nati di donna e il serpente. Prima l’uomo camminava
davanti a Dio senza problemi, adesso si nasconde. E anche i rapporti
tra l’uomo e la donna, che prima erano improntati a reciprocità e
intimità, sono guastati.
Le prime parole umane nella Bibbia non
sono quelle che esprimono il gradimento del primo uomo nell’incontro
con la prima donna: “Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne
della mia carne” (Genesi 2,23), ma sono ora stravolte e compare la
logica del dominio. Alla donna viene detto: “i tuoi desideri si
volgeranno verso il tuo uomo ed egli dominerà su di te” (Genesi 3,16b).
A
fronte di questa scultorea descrizione del “maschilismo” – da una parte
c’è il desiderio, che implica, se si manifesta, apertura e attesa di
accoglimento e dall’altra si risponde con il dominio – bisogna subito
ricordare che, pur essendo contenuta in una parola di Dio, la frase non
intende legittimare il dominio maschile come facente parte dell’ordine
della creazione, quanto piuttosto come sanzione del suo disordine.
È
Genesi 2 a descrivere la creazione che corrisponde alla volontà di Dio,
e lì non vi è traccia di tutto questo, mentre Genesi 3 raffigura la
creazione come diventa in seguito alla trasgressione umana dell’unico
divieto che aveva per scopo di garantire, non di inibire, il pieno
sviluppo dell’umanità in tutti i suoi aspetti.
Tanto più se
consideriamo il retroterra patriarcale della società della Bibbia
ebraica, ci colpisce che questa descrizione di quelli che dovevano
essere prevalentemente i rapporti tra i sessi sia collocata proprio
nella pagina che descrive non il mondo che Dio ha voluto e vuole, ma il
mondo sfigurato.
In Cantico dei Cantici 7,11 è la protagonista
femminile del Cantico a dire: “Io sono del mio amico, verso me va il
suo desiderio!” È stata in particolare l’esegesi femminista a collegare
Cantico 7,11 con Genesi 3,16, ma non solo. Da questo collegamento
emergono due fatti importanti. Innanzitutto è chiaro che il “desiderio”
non è negativo, “indecente”, neppure in Genesi 3,16, contrariamente a
quanto sostenuto nella tradizione sessuofobica.
In secondo
luogo, la donna del Cantico sa che c’è una reciprocità del cercarsi,
del trovarsi, dell’esporsi, del desiderarsi. Ci può essere un incontro
di desiderio reciproco non sfigurato dal dominio e dalla violenza. E
sarebbe sbagliato vedere in Genesi 3,16 la descrizione della realtà
come deve necessariamente essere e nella reciprocità del desiderio e
della tenerezza che percorre tutto il Cantico una realtà futura,
escatologica.
Il Cantico è lì a ricordarci che, se e quando un
uomo e una donna si parlano come nel Cantico e non come in Genesi 3,16,
da questo punto di vista il giardino dell’Eden non è sbarrato fino alla
fine dei tempi, è lì per riaprirsi dove ci si incontra in questo modo.
Daniele Garrone
fonte: www.voceevangelica.ch