L’argomento generale di questo capitolo è un tema nuovo, finora mai toccato nel Vangelo di Matteo, nonostante la sua importanza per l’ebraismo. E’ l’osservanza dello Shabbat, del sabato; osservanza già richiamata in molte occasioni nelle scritture ebraiche: ad esempio in Es 23,12 come “riposo” e in Es 34,21 come “tempo destinato al servizio divino”.
Per Gesù il sabato si situa ancora su un altro piano: egli reinterpreta il comandamento del riposo come una “prefigurazione della pace messianica e del dono dello Spirito Santo”.
Il primato della misericordia (vv 1-8)
Perchè il figlio dell’uomo è signore del sabato. Qui Matteo osserva, e vuole far osservare a tutti, che Gesù non intende abrogare l’osservanza del sabato, ma evidenziare il criterio per cui non è più osservanza della legge mosaica, bensì fede messianica. Per questo è determinante appoggiarsi e fondarsi sulla citazione di Osea 6,6: “Misericordia voglio e non sacrificio”.
Il problema nasce dal sabato; i farisei non ammettevano ciò che era ammesso dalla stessa Torah (Deut 23,26): strappare spighe da un campo di grano perchè si ha fame. Per loro ciò era proibito; Matteo contrasta questa obiezione con l’affermazione che “il sabato è stato fatto per l’uomo, cioè per la vita”. Gesù lo rimarca prendendo come spunto l’esempio di David: egli, figlio di David, è dotato di autorità messianica ancora maggiore; poi cita anche i sacerdoti del tempio e quel che facevano di sabato.
Matteo afferma (v 6) che “Qui c’è qualcosa di più grande del tempio”, che ormai è stato distrutto, non esiste più: Gesù ci vuole dire che, come il tempio è stato distrutto, superato dai fatti storici, così è possibile per i suoi discepoli infrangere la legge del riposo sabbatico in quanto lui, il messia, è molto più grande del tempio.
A questo punto riprende la citazione di Osea: se aveste saputo cosa significa “misericordia voglio e non sacrificio” non avreste condannato dei senza colpa. Il primato della misericordia: questo è il vero argomento, quello decisivo per l’umanità.
E’ lecito di sabato fare del bene (vv 9-14)
In questo secondo brano, legato all’osservanza del sabato, viene posto al centro un uomo con una mano colpita da paralisi. Il problema di quest’uomo non è solo la malattia, ma anche l’impossibilità di vivere con il lavoro delle proprie mani; quindi il rischio che corre è di dover fare il mendicante tutta la vita, per sopravvivere.
Gesù propone un esempio tratto dalla loro esperienza quotidiana: chi non salverebbe di sabato una propria pecora caduta in un pozzo e che rischia la morte? Un uomo è senz’altro più importante! Matteo ha presente l’obiezione che potrebbero sollevare i farisei: una mano paralizzata non è un pericolo di morte; si potrebbe quindi aspettare un giorno per guarirla.
La differenza di prospettiva è tutta qui: essere preoccupati del sabato oppure della guarigione di un uomo. I farisei cercano di metterlo in difficoltà, ma Gesù risponde con un’affermazione netta (v 12): “E’ lecito di sabato fare del bene”. Proprio questa è la destinazione messianica del sabato: la redenzione dell’umanità e il riposo integrale dell’anima e del corpo. E Gesù lo guarisce.
A questo punto Matteo per la prima volta parla di un complotto contro Gesù. E’ certamente un punto di svolta nella narrazione: si tratta di una condanna a morte, e proprio sul sabato, uno dei punti cardine del sistema religioso ebraico, si verifica la massima opposizione contro Gesù.
Questo servo non condannerà nessuno (vv 15-21)
Nel primo versetto di questo brano troviamo la soluzione temporanea al complotto ordito dai farisei: si dice infatti che Gesù “seppe di tutto quello che stavano tramando” e si ritirò in un altro luogo appartato, dove però lo seguirono molte persone che erano in difficoltà o con malattie ed egli le guarì tutte.
Gesù chiede di tenere il segreto su queste guarigioni; Matteo cerca di mettere in evidenza e di dare una motivazione a questa richiesta con una citazione di Isaia (42,1-4): il segreto messianico di Gesù diventa in Matteo una questione di mitezza e umiltà. Il “servo” di Isaia era portatore, non solo per Israele ma per tutte le genti, di un giudizio non di condanna, bensì di salvezza, di speranza e di coraggio. Per Matteo questo servo è, naturalmente, Gesù e il suo atteggiamento non sarà quello di chi grida e fa sentire la sua voce nelle piazze; questo servo non condannerà nessuno: il giudizio che deve portare nel mondo lo prenderà su di sé, quindi sarà un giudizio salvifico, anche per i pagani.
Dove viene detronizzato Beelzebul, lì si attua il regno di Dio (vv 22-37)
Matteo ci riferisce della guarigione di un uomo cieco e muto. Anche in questo caso la guarigione provoca una profonda divisione tra i presenti, cioè tra le folle che seguono Gesù e i farisei, una “disputa in nome del cielo”, che è un po’ più di una discussione teologica. Lo stupore delle folle controbilancia l’avversione dei farisei, che affermano: Costui scaccia sì i demoni, ma non con il nome santo di Dio, bensì con il nome infame del principe dei demoni. Mettono in discussione l’autorità di Gesù: pensano che sia proprio lui il padrone di casa di quell’uomo, per questo ha la facoltà di mettervi ordine o disordine.
Gesù, assumendo il punto di vista dei suoi interlocutori, ne dimostra l’inconsistenza: è impossibile che Satana scacci se stesso; non può essere diviso in se stesso, altrimenti non avrebbe più alcun potere, alcun dominio. Ci vuole qualcun altro, più forte di lui, per legarlo e privarlo dei suoi possedimenti. Questo qualcun altro più forte è colui che è dotato, dallo Spirito Santo, della potenza di Dio. Dove viene detronizzato Beelzebul, lì si attua il regno di Dio: ecco chi sono il vero e il falso padrone di casa.
Matteo ci dice che il peccato o la bestemmia contro Gesù è ancora perdonabile: ciò che non è perdonabile è la bestemmia contro lo Spirito che opera in lui. Gesù rimprovera ai farisei un peccato di ingratitudine verso lo Spirito. E qui Matteo aggiunge un detto sugli alberi e sui loro frutti, un altro criterio di discernimento, che in fondo è anche il più ovvio: “Dal frutto infatti si riconosce l’albero”. Non è detto che lo Spirito Santo conduca sempre alla confessione messianica di Gesù, ma quello che è certo è che non può condurre alla sua abiura, alla sua sconfessione. L’accusa contro Gesù viene ritorta contro i suoi accusatori: sono essi che traggono pensieri cattivi dal loro cuore.
Questa generazione cattiva e adultera non vedrà alcun segno (vv 38-42)
I farisei riprendono la parola: vogliono un segno da Gesù. Intendono dire un segno dal cielo, un segno messianico: se è vero tutto quello che dici, se è vero che è arrivato il regno di Dio, allora daccene un segno, una dimostrazione. Gesù si rifiuta e lo motiva così: “Questa generazione cattiva e adultera non vedrà alcun segno”. Questo termine, ghenea = questa generazione, è usato ben quattro volte ed è un termine “giudiziale”: queste persone si trovano nella situazione di essere giudicate per il loro rifiuto alla proposta di salvezza ricevuta prima dal Battista, poi dallo stesso Gesù e infine dai discepoli missionari.
Questi farisei non hanno aderito all’evento messianico. Perciò gli abitanti di Ninive si leveranno come testimoni, nel giorno del giudizio, non soltanto per accusare i contemporanei increduli di Gesù, ma anche per affermare la sua superiorità rispetto a Giona, agli altri profeti e ai sapienti tipo Salomone. Salomone era un sapiente, ma qui vi è “la sapienza”!
Continua possibilità di una ricaduta (vv 43-45)
Anche in questo penultimo brano del capitolo troviamo una parabola che si rifà al v. 29, dove si parlava della casa del forte e di come fare per entrarvi. In questo brano è evidente una grande conoscenza esperienziale dell’animo umano: essa ci insegna la continua possibilità di una ricaduta.
Questa parabola era forse il seguito del detto sull’uomo forte, ma è stata spostata da Matteo al termine di tutto il capitolo sul sabato per insegnarci due cose. La prima è che il riposo, la pace sabbatica, non è una bella esperienza “una tantum”, ma richiede una vigilanza continua e una rinnovata resistenza nel tempo. La seconda: chi è testimone dell’azione dello Spirito Santo, ma non sa corrispondervi con opere coerenti, si espone ad un rischio ancora maggiore: quello di ricadere nei propri errori e che, anzi, questi si aggravino.
Un’altra cerchia di relazioni primarie (vv 46-50)
Questi ultimi versetti sono un preludio a quello che ci dirà il capitolo successivo. Conflitti tra Gesù e la sua famiglia devono essercene stati altri, ma qui Matteo non intende soffermarsi su queste diatribe: il punto è che Gesù ha ormai costituito un’altra cerchia di relazioni primarie, che si è sostituita a quella familiare. Questa nuova esperienza di maternità e di fraternità non si costruisce più su una base naturale, ma sulla comune obbedienza alla volontà del Padre che è nei cieli, sulla comune ricerca del regno di Dio.
Bello il versetto conclusivo: “Chiunque faccia la volontà del Padre mio”, che ci indica la strada da percorrere per far parte di questa grande famiglia.
Luciano Fantino